domenica 5 gennaio 2003

CHIESA CATTOLICA e ALTA FINANZA

«E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi ha solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento.

Questo potere diviene più che mai dispotico in coloro che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni, dominano il credito e padroneggiano i prestiti; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso di cui vive l’organismo economico e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia; sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare.

Una tale concentrazione di forze e di potere, che è quasi la nota specifica dell’economia contemporanea, è il frutto naturale di quella sfrenata libertà di concorrenza che lascia sopravvivere solo i più forti, cioè, spesso i più violenti nella lotta e i meno curanti della coscienza.
A sua volta, poi, la concentrazione stessa di ricchezze e di potenza genera tre specie di lotta per il predominio: dapprima si combatte per la prevalenza economica: di poi si contrasta accanitamente per il predominio sul potere politico, per valersi delle sue forze e della sua influenza nelle competizioni economiche: infine si lotta tra gli stessi Stati, o perché le nazioni adoperano le loro forze e la potenza politica a promuovere i vantaggi economici dei propri cittadini o perché applicano il potere e le forze economiche a troncare le questioni politiche sorte fra le nazioni.

Ultime conseguenze dello spirito individualistico nella vita economica sono poi quelle che voi stessi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, vedete e deplorate. La libera concorrenza si è da se stessa distrutta; alla libertà del mercato è sottentrata l’egemonia economica; alla bramosia del lucro è seguita la sfrenata cupidigia del predominio; e tutta l’economia è così divenuta orribilmente dura, inesorabile, crudele. A ciò si aggiungano i danni gravissimi che sgorgano dalla deplorevole confusione delle ingerenze e servigi propri dell’autorità pubblica con quelli dell’economia stessa: quale, per citarne uno solo tra i più importanti, l’abbassarsi della dignità dello Stato, che si fa servo e docile strumento delle passioni e ambizioni umane, mentre dovrebbe assidersi quale sovrano e arbitro delle cose, libero da ogni passione di partito e intento al solo bene comune e alla giustizia. Nell’ordine poi delle relazioni internazionali, da una stessa fonte sgorgò una doppia corrente: da una parte, il nazionalismo o anche l’imperialismo economico; dall’altra, non meno funesto ed esecrabile, l’internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del danaro, per cui la patria è dove si sta bene».

Pio XI
dalla Lett. Enc. "Quadragesimo anno", 15 maggio 1931

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